30 novembre 2012

Monte Argentario: la Quiete della Macchia Mediterranea e del Mare d’Inverno

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Dovessi descrivere con tre aggettivi questo fine settimana che io e Luca abbiammo trascorso presso il Monte Argentario, sarebbero sicuramente “selvaggio”,  “profumato” e “rilassante”. Selvaggio come le strade che abbiamo attraversato, selvaggio come la macchia mediterranea in cui ci siamo addentrati, selvaggio come il nostro itinerario, all’arrembaggio: ogni percorso che avevamo deciso di intraprendere finiva per forza per subire delle modifiche, che dipendessero o meno da noi.

Profumato come il mare quello vero, quello che sa di pesce fresco e di porto, profumato come il sottobosco umido d’autunno, profumato come i cibi genuini e cucinati (quasi sempre) con amore che abbiamo gustato.

Il fine settimana che io e Luca abbiamo appena trascorso nelle zone del Monte Argentario è stato però anche rilassante… Per quanto possa essere definito rilassante un itinerario pressante di cose da vedere e da provare, da assaggiare e da fotografare, considerando che le giornate, ahimè, alle 17,00 sono pressoché concluse. Eppure era per un certo verso distensivo trovarsi a passeggiare per borghi silenziosi, vuoti, direi “svuotati” dal caos estivo (il che ha anche i suoi contro, sia ben chiaro, tipo la miriade di posti chiusi per ferie 😦 ), attraversare la palude (ehm, zanzare apparte) solo noi con le nostre macchine fotografiche e qualche gatto a seguito, esplorare rovine d’epoca romana avendo l’impressione di essere silenziosamente osservati soltanto da un sottobosco quanto mai vivo (e, probabilmente, anche da qualche cinghiale)… Ma andiamo con ordine.

Il nostro week end in quel del Monte Argentario è iniziato venerdì scorso, appena usciti da lavoro: un paio d’ore di macchina da Lucca e già eravamo ad Orbetello, dove pernottavamo. Il B&B Toni e Judi  ci attende proprio nella via centrale della città: lasciata l’auto sul lungomare basta addentrarsi nella ztl e, pochi passi dopo, al numero 112, uno stretto portone si apre davanti a noi invitandoci a salire due piani di ripide scale (al primo piano c’era un’estetista, se qualcuno fosse interessato…). La stanza che ci accoglie è un accumulo di cimeli e chincaglierie varie più o meno colorate e colorite; una foto del Che si erge maestosa su un muro (la signora è cubana); gli infissi sono tutti sui toni dell’azzurro. La nostra stanzetta, piccola ma pulita e calda, è invece dominata dai colori caldi, sui toni del rosso, arancione e giallo. Lasciate le nostre cose, il tempo di una rinfrescata e già partiamo alla ricerca di un posto dove cenare. La scelta ricade subito su I Pescatori, un ristorante organizzato a mo’ di sagra (si sceglie dal menu, pochi piatti, si paga alla cassa e ci si siede ad un tavolo) dalla cooperativa dei pescatori della laguna; oltre a gustare ottimi piatti a base di pesce di laguna, il cosiddetto “pesce povero” (pici alla bottarga, maltagliati al ragù di palamita, alici in mille modi, anguilla sfumata e marinata), possiamo acquistare anche dell’ottima bottarga (che, peraltro, è presidio Slow Food) e dei gustosi sughetti a base di palamita, spigola, orata o sugarello. Rifocillati da cotanta bontà ma stanchi dalla giornata lavorativa che ci lasciamo alle spalle, facciamo due passi sul lungomare e ce ne andiamo a lettino.

Sabato mattina ci alziamo di buona lena, una colazione veloce (e miserina: giusto un cornetto con marmellata, caffè e/o latte, fette biscottate e un bicchierino di succo) ed uno sguardo rapido alla laguna illuminata dal sole, quindi partiamo alla volta della costa: procediamo verso nord-ovest, Porto Santo Stefano, ma non ci fermiamo e proseguiamo in auto scendendo a sud percorrendo la strada che costeggia tutto il lungomare roccioso. Ogni tanto una fermata è d’obbligo: il mare è incantevole, il panorama mozzafiato! Quel che non avevamo tenuto in conto, quasi raggiunto Porto Ercole, era il fatto che avremmo dovuto percorrere ben 4 km di strada completamente non asfaltata, sconnessa e piena di profonde buche (vi lascio immaginare com’era felice Luca di passare da lì con la sua Ypsilon…). Finito l’incubo, ritrovata la strada asfaltata, raggiungiamo Porto Ercole dove, dopo una breve passeggiata ed una visita alla Fortezza (solo esternamente perché era chiusa), ci fermiamo per il pranzo. Mi ero segnata un paio di posti davvero validi ma, si sa, le aspettative sono fatte per essere disattese: molti ristoranti erano in ferie, tra cui, per l’appunto, quelli che mi erano stati segnalati. Sconsolati ed affamati, dopo un’oretta di disperato vagare, entriamo al ristorante La Sirena: vista “quasi sul porto”, si mangia in veranda che fa caldino. I crostini al ragù di polpo non sono male, i miei spaghetti alla spigola pure (anche se secondo me c’era un che di panna che poteva benissimo essere evitato); gli spaghetti allo scoglio di Luca sono completamente slegati dal sugo che pare essere congelato; i calamari alla griglia sono accettabili. Insomma, niente di che, ma la spesa è stata comunque onesta.

Prima che faccia buio risaliamo su fino alla Riserva Statale Duna Feniglia, la “lingua di terra” più a Sud tra le tre che collegano il Monte Argentario alla nostra penisola. Ci piacerebbe percorrerla tutta (sono 6 km) ma il noleggio di bici non si effettua, evidentemente, in questo periodo dell’anno (nonostante il clima mite), le zanzare mi stanno letteralmente uccidendo (non vi dico quante appinzature mi sono contata dal ginocchio in giù… E avevo pure i leggins!) e sta per fare buio… Facciamo due passi nella macchia spingendoci fino alla baia, quindi torniamo indietro e ripartiamo poco più a Sud, verso Ansedonia, a goderci il tramonto sulla scogliera della Tagliata Etrusca (un tempo area portuale romana – gli etruschi non c’entrano nulla! – della città di Cosa, della quale Ansedonia conserva ancora i resti) dove è visibile lo Spacco della Regina, una fenditura naturale della roccia. Ma il sole ormai si è spento: è l’ora della doccia e del riposino.

La sera usciamo a cena in prossimità del Tombolo della Giannella, la lingua di terra più a Nord delle tre che collegano il promontorio dell’Argentario alla terraferma. Il locale dove avevamo pensato di cenare è al completo, ma Tripadvisor ci dà una grande mano suggerendoci dove gustare quello che si rivelerà essere il miglior pasto della vacanza: l’Oste Dispensa, lungo la provinciale della Giannella. Il fatto che il ristorante si trovi presso un albergo (l’Hotel Ambra) non deve farvi storcere il naso: in realtà questo posto è un preludio di pasta fatta in casa e pesce fresco, dove il profumo dei pesci di laguna appena pescati si sposa alla perfezione con la fantasia dello chef Stefano Sorci e con la genuinità dei piatti da lui stesso preparati ad arte. Ci lasciamo coccolare da uno dei tanti menu degustazione (consigliati, per poter assaggiare più portate possibili): nell’antipasto assaggi di baccalà con ceci, alici marinate con cipollotti, polentina con ragù di gattuccio, spuma di razza con cuore di sedano, pesce bandiera in carpione, alicette e calcinelli dorati: il cosiddetto “pesce povero” la fa da padrone ed è preparato splendidamente. A seguire spaghetti alla carbonara di mare con cozze e bottarga (divini), pici fatti in casa con vongole e gamberoni (delicatissimi), spigola e celeta alla griglia con verdurine (patate e carote) al forno. Per concludere, torta al cioccolato fondente e noci, torta con pere, pinoli e cannella e un bel sacchettino di biscottini fatti in casa dagli svariati gusti: una cena davvero favolosa, personale cordiale e discreto, locale silenzioso ed accogliente, chef davvero valido! Soddisfatti come e forse più della sera precedente torniamo in quel di Orbetello: se la sera precedente pareva che la città fosse morta, ci accorgiamo ben presto che di sabato sera le vie del centro pullulano di giovani… Ma chissà, noi forse non siamo più così giovani: scansiamo la folla e ce ne saliamo in camerina.

La domenica mattina ci sveglia nebbiosa e bigia, ma per fortuna non piove. Facciamo colazione, quindi ci apprestiamo a raccogliere tutte le nostre cose, paghiamo e salutiamo i nostri “amici” del B&B. Percorriamo verso l’interno il ponte di Orbetello, quindi scendiamo a Sud di nuovo verso Ansedonia per visitare le rovine della città di Cosa, un tempo scalo marittimo degli antichi romani: soli nel verde degli ulivi, il profumo del sottobosco è inebriante, la vista dall’alto delle rovine scioccante, la presenza dei cinghiali (lo si intuisce dai cumuli di terra ampiamente smossa) inquietante! Torniamo verso il promontorio ed iniziamo a salire verso l’interno: le nuvole si fanno più fitte e la visibilità diminuisce. Riusciamo ancora a vedere il Convento dei Padri Passionisti, a metà della salita, ma una volta arrivati sulla cima del Monte Argentario a malapena si distinguono le imponenti antenne della RAI.

Torniamo verso altezze più umane e ci dirigiamo verso Porto Santo Stefano, da dove partono i traghetti per il Giglio. Un paio di soste sulla spiaggia di Santa Liberata e presso quella dei Bagni di Domiziano (il mare è una tavola, e l’acqua è pure bella calda…), quindi cerchiamo un posto dove rifocillarci, rifacendoci per tempo onde evitare di ripetere l’esperienza del giorno precedente. Siamo in località Pozzarello, poco prima di Porto Santo Stefano: magari qui troviamo qualcosa di meno turistico, pensiamo. La Trattoria La Formica attrae la nostra attenzione: stabilimento balneare anni ’70, gente del posto, atmosfera familiare, locale alla buona; lo proviamo. Ben presto ci rendiamo conto che la pulizia non è di casa, qui, ma cerchiamo di non farcene un cruccio: speriamo solo di mangiare bene! E invece… Antipasto di mare risicato, polipetti duri come sassi, sicuramente preconfezionato. Aspettiamo un’ora per avere un piatto di pasta allo scoglio e quando arriva… La pasta è cruda dentro e bruciacchiata fuori, un paio di gamberoni neri sovrastano la matassa di spaghetti, che affoga in un sugo nero esattamente come i crostacei. Un vero schifo. Paghiamo il conto (ahimè) senza aver mangiato niente, augurando la peggiore fine al locale e chiedendoci come sia possibile che esista al mondo qualcuno che si permette di servire un tale scempio, e ce ne andiamo alla volta di Porto Santo Stefano, alla ricerca di una pizza a taglio e di una sana birretta. E intanto, già cala il sole… Una breve visitina all’Acquario della laguna, e si riparte.

Lungo la strada di ritorno verso casa ci allunghiamo per una deviazione a Roccastrada, piccolo borgo medievale a metà strada tra Grosseto e Siena; facciamo due passi, sorseggiamo un vino come aperitivo, quindi ci gustiamo una cena di tutto rispetto Dal Conte al Picio Matto, rifacendoci del pranzo: l’antipasto prevede salame, prosciutto toscano, un ottimo pecorino senese, crostino col cavolo nero, pappa al pomodoro, puntarelle con acciughe, involtino di zucchina grigliata ripiena di gorgonzola; di primo scegliamo i pici del conte (con radicchio, speck e pecorino romano) e quelli con salsiccia, pomodoro e pecorino (ma di pici, essendo la specialità, ce ne sono mille varianti, tutte buonissime); terminiamo con una crostata fatta in casa. L’atmosfera è rilassante e piacevole (eravamo davanti al caminetto), lo chef simpatico e competente, i prezzi davvero bassissimi per la qualità dei cibi. Parliamo un po’ di Lucca con la gentile signora che ci ha serviti, poi però è il momento di tornarci davvero, a Lucca… Stanchi ma felici, riprendiamo la strada di casa: inconvenienti a parte, ci siamo goduti questa breve fuga romantica al massimo, tra i profumi, i sapori e gli odori di un pezzo di Toscana che ancora non conoscevamo e che valeva davvero la pena scoprire. Potessimo, ci torneremmo anche domani.

17 gennaio 2011

Venezia eat-and-go: Squisitezze tra Calli e Campielli

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Venezia, un romantico labirinto di calli e sottoportici, un crocevia di ponti che si intersecano aprendosi ogni volta in campi e campielli, un intrecciarsi di fondamenta che costeggiano rii che vanno a perdersi nel Canal Grande, donando alla vista scorci da far restare senza fiato…
Questa è Venezia, in due parole. Trascorrervi 4 giorni visitando anche le isole, beh, non è certo sufficiente per poter cogliere ogni dettaglio, ogni “ruga”, per dirla con parole loro, di questa splendida città costruita sull’acqua… Ed è per questo che lascio perdere la storia (che potete trovare sui libri, non spetta a me raccontarvela né sarei in grado di farlo!) e mi sbrigo a parlare di cucina… Eh sì, la cucina.
Aspettate: almeno un’immagine paesaggistica lasciatemela caricare! Ecco qui, da sinistra verso destra, dall’alto verso il basso: Venezia, Murano, Burano e Torcello.

Dicevamo, insomma, sì, il cibo. Mi aiuterò con le foto, per parlarvene, credo sia la soluzione migliore (esattamente come per i casi di Calabria e Sicilia)… Se non altro sarà più immediato e più interessante, per voi che mi leggete, accompagnare le mie parole con le immagini 😉 Prima, però, devo ringraziare Luca Del Grande: molte delle foto qui sopra e molte di quelle che seguono sono opera sua!

Dunque: a Venezia (in generale, nel Veneto) si beve tanto. L’ombre de vin che deve accompagnare ogni cicheto non manca mai; molti bacari sono praticamente enoteche dalle cantine ultrafornite. Poi vabbè, non sto a parlarvi di quanto siano buone certe grappe e certi fragolini fatti in casa (non quelli coloratissimi che vedete in foto eh, questi devono essere, così ad occhio e croce, delle chiappe per turisti belle e buone!)… Provare per credere 😉

Poi, a Venezia si mangia anche. Vabbè, si mangia ovunque, certo… Ma qui si mangia pure bene, basta essere un pochino accorti. Parlavo, qui sopra, di cicheti e di bacari: in sostanza, trattasi di simil-aperitivi che si fanno in queste sorte di osterie-enoteche. Il trucco per incappare in un bacaro serio? Seguire i veneziani all’ora dell’aperitivo (non solo all’ora di cena eh, anche a mezzogiorno!)… A differenza degli aperitivi “pago-da-bere-ma-magno-a-sbafo” a cui siamo abituati perlomeno qui al centro Italia, a Venezia ogni pezzo si paga (da 1,00 euro fino a 2,00 euro più o meno): ma state tranquilli, potrete tranquillamente pasteggiarci, coi cicheti, se vi intrufolate nel bacaro giusto… Non troverete noccioline e patatine, nei bacari di Venezia, ma una miriade di deliziosi fingerfood: crostini con baccalà mantecato, gorgonzola e porri, radicchio e gamberi, zucca e montasio, mascarpone e noci, pecorino e fichi, salmone e rucola, uovo sodo ed acciuga, melanzana e coppa… E chi più ne ha più ne metta. Per non parlare poi dei piccoli tramezzini strapieni di ogni ben di Dio (sono più alti che larghi), che da qualche parte chiamano francobolli, o delle rosette rimpinzate di ottimi salumi, o ancora delle polpettine (di carne, ma anche e soprattutto di pesce, come tonno e baccalà, di melanzane e di zucchine) e dei fondi di carciofo, che a Venezia godono di una fama di tutto rispetto.

E i dolci? Beh, posso riassumere l’argomento dicendo che Venezia è il posto giusto per me che amo i dolci “biscottosi”, quelli di frolla insomma, più che quelli “pandispagnosi” strapieni di panna e cioccolato. In sostanza, i dolci tipici veneziani li trovate nelle pasticcerie, sì, ma anche e soprattutto nei panifici: benché, a mio personalissimo parere, a Venezia e dintorni la “cultura del pane” sia quasi inesistente (dimenticatevi l’ottimo pane casereccio a cui siamo abituati qui in Toscana), per assaporare qualche biscotto tipico veneziano è d’obbligo entrare presso un fornaio. Nella foto qui sotto, ecco a voi gli inflazionatissimi Pan del Doge e Pan del Pescatore al pistacchio (fin troppo verde, questo!), due dolci troppo in stile “siciliano” per i mie gusti (trattasi di impasto a base di simil-pasta di mandorle). A fianco, si inizia a ragionare: Ciambelle e Fornarine al cioccolato, Crostatine di mandorle e Moretti (biscottoni cioccolatosissimi) più in basso, quindi Zaeti (o Zaleti, o Zaletti, o ancora Zaetti) con l’uvetta, panini Ambrogini (se vi dico che il loro pane è più o meno questo, non fatemi credere che non state storcendo la bocca almeno un pochino…!) ed infine dei semplicissimi Bussolai ed Essi (a forma di ciambella i primi, a forma, appunto, di “S” i secondi) tipici di Burano.

Sempre in tema di cibo, non potevamo non fare un salto al mercato. Molto meno folkloristico rispetto a quello di Catania, più “carnale”, e a quello di Barcellona (La Boqueria), più “coreografico”, il mercato di Rialto (la zona più ad Est del Sestriere San Marco) ha comunque il suo fascino, se non altro per la presenza assidua dei passerotti sulle casse di frutta e dei gabbiani appostati sulle tendine dei banchi del pesce. Il mercato di Rialto esiste dai tempi dei tempi; oggi ben poco è rimasto (pensate che prima era diviso in settori: ortofrutta, pesce, carne, formaggio e agrumi, ognuno col suo nome), ma qualcosa sopravvive: il cartello “Erberia”, ad esempio, sta a segnalare il settore della frutta e della verdura (e immancabili, in foto, le castrature, varietà di carciofi tipica del luogo), mentre per quel che riguarda il mercato del pesce, degno di nota è il cartello con impressi prezzi e misure consentite per la vendita del pesce.

 

E adesso passiamo dal generale al particolare: qui di seguito vi elenco i posti in cui sono stata a mangiare; non starò a fare lunghe recensioni noiose, tranquilli… Lascerò solo qualche appunto.

Bacari/Enoteche/Cantine:
Gli Schiavi
-> l’enoteca è fornitissima ed i cicchetti vari e gustosi. E’ pieno di veneziani, il che non guasta. Circa 10 pezzi + 2 bicchieri di buon rosso a testa: 18,00 euro in tutto. Ponte San Trovaso 992, Sestriere Dorsoduro.
Cantina I Do Mori
-> molto veneziano, ottimi cicchetti misti e buon vino. Circa 30 pezzi + 2 bicchieri di bianco a testa: 48 euro in tutto. Calle dei Do Mori 429, Sestriere San Polo (zona mercato di Rialto).
Bacaro Jazz
-> vi consiglio una fermata qui, per uno spritz abbondante ed economico. Alzate gli occhi al soffitto: è tutto coperto da reggiseni di ogni tipo e misura! Per due spritz e due sarde in saor, 5,00 euro in tutto. E della buona musica, che non guasta. Campo S. Bartolomeo 5546, Sestriere San Marco.
Cantina Vecia Carbonera
-> sembrerebbe essere uno dei posti preferiti dai veneziani. I cicchetti sono ottimi e fantasiosi. Per 6 pezzi + 2 bicchieri di bianco, 11,00 euro in totale. Campo della Maddalena 2329, Sestriere Cannaregio.

Ristoranti/Trattorie/Osterie:
Trattoria Marciana
-> decisamente turistico, ci siamo salvati in corner ordinando i piatti del giorno: seppie in nero con polenta, sarde in saor (con cipolla bianca, pinoli e uvetta), e spaghetti alla busara (con i gamberoni). Niente di eccezionale. Con due portate a testa, vino, acqua e caffè abbiamo speso 76,00 euro. Calle Longa 751, Sestriere Santa Croce.
Osteria Al Ponte
-> ci sono in tutto circa 10 coperti, quindi vi consiglio di prenotare. Il titolare, piuttosto sbronzetto, ci ha portato tutto quel che aveva da farci assaggiare: un tagliere di ottimi salumi, salmone e acciughe marinati, fegato alla piastra e tagliatelle con le arselle. In più tanto vino, senza contare le svariate volte che ci ha riempito i bicchierini, dopo il pasto, di grappa e fragolino, rigorosamente home-made. Cena ottima, per un totale di 45,00 euro… Fossero tutti così! (Ah, per la cronaca… A fine serata eravamo anche noi sbronzetti quanto il titolare!). Calle Larga Giacinto Gallina 6378, Sestriere Cannaregio.
Ristorante La Riva Rosa
(Burano) -> se ne approfittano, non ci piove: col senno di poi, meglio portarsi dietro un panino, se andate a visitare le isole. Tanti salamelecchi e poca sostanza: visti i prezzi, ordinando gli gnocchetti con la granceola mi sarei aspettata almeno mezza “bestia” con tanto di guscio da ripulire, invece niente, solo poca polpa sparsa qua e là. Carta dei vini decisamente eccessiva, il bianco più economico 22,00 euro. Per 4 capesante, due primi, vino e acqua: 91,00 euro. Sconsigliato. Fondamenta San Mauro 296, Burano.
Osteria Al Bomba
-> Il pasto non è stato tra i più degni di nota, ma il posto è molto carino ed osservare il titolare, che serve ai tavoli e cucina rigorosamente da solo, è uno spasso. Buono il fegato alla veneziana (a chi piace – non a me – : trattasi di fegato rifatto con le cipolle), discreti i tagliolini con scampi e porcini. Per due piatti di cicchetti misti, il mio primo ed il secondo piatto di Luca, più vino, acqua e caffè (con tanto di “essi” in omaggio: altro che il cioccolatino!), 58,00 euro.  Calle dell’Oca 4297, Sestriere Cannaregio.
Osteria L’Antica Mola
-> senza infamia e senza lode. Le sarde in saor sono le migliori che abbiamo mangiato, ma l’antipasto misto di pesce comprendeva una cicala che non aveva un bell’aspetto e decisamente troppi gamberetti che avevano tutta l’aria di essere stati precotti chissà da quanto. Anche la zuppetta di cozze e vongole (peoci e caparozzoli), oltre a non essere espressa, era anche un pelino troppo brodosa… E poi, senza il pane giusto, la zuppetta non è cosa. Ma il fegato alla veneziana di Luca dice fosse buono davvero. Per due antipasti, la zuppetta ed il fegato, più acqua, vino e caffè, abbiamo speso circa 60,00 euro. Fondamenta Ormesini 2800, Sestriere Cannaregio.

Due dritte veloci veloci in più sul cibo: rifuggite come la peste quei locali che elencano tra i primi piatti cose come “spaghetti alla bolognese”, “lasagne”, “spaghetti alla napoletana” (al pomodoro) e “cannelloni”… Molto probabilmente, anche i piatti più locali lasceranno a desiderare! Lasciate che ci vadano gli americani 😉
Ah, giusto perché riusciate ad interpretare al meglio la foto che segue, vi dico altre due cosine: la pasta e fagioli è un piatto che in Veneto gode di una misteriosa venerazione… E non stupitevi se vi servono la polenta (a volte morbida, altre volte grigliata) con il pesce: là si usa così, e col pesce la polenta che accompagna è di solito preparata con la farina bianca. Per il resto… Leggetevi le “poesiole” e fate tesoro di certi saggi consigli 😉

Ah: le maschere! Simbolo di Venezia forse più della gondola (sarà che siamo vicini al Carnevale?), troverete maschere e mascherine di ogni sorta e misura: da indossare, da appendere al muro, da appiccicare allo stereo, da usare come portacenere o portacandele… In fin dei conti, pur andando a scavare nelle tradizioni e negli usi più locali, siamo (siamo stati) turisti anche noi, perciò non vogliatemene se concludo questo mio reportage con qualche foto un po’ carnevalesca… Se non altro, va detto che visivamente son davvero belle, così colorate e sbrilluccicose 😉

Un’ultimissima dritta che credo serva parecchio a chi vuole visitare Venezia riguarda i trasporti. Consiglio vivamente di fare l’abbonamento ai servizi pubblici ACTV valido per 3 giorni (72 ore dal momento della convalida): l’ACTV comprende sia i bus (in sostanza il bus Mestre-Venezia, se come me dormite a Mestre) che i vaporetti, e l’abbonamento in questione costa 33,00 euro (22,00 euro per chi ha meno di 29 anni, facendo la Carta Giovani – Rolling Venice Card). Non state a fare i conti: il risparmio è garantito! Pensate solo che una corsa in bus singola (non A/R) vi costa 1,10 euro e una singola in vaporetto 6,50 euro… Moltiplicate per quante volte vi muoverete coi mezzi e… Visto, che vi avevo detto? Risparmierete!!
Il bus che vi serve è il n. 2, ed in meno di dieci minuti vi permettere di raggiungere Piazzale Roma, l’unico punto transitabile della Venezia isola. Sempre da qui, poi, corsia A6, riprendete lo stesso bus per tornare a Mestre. Gli orari sono ottimi: ne parte uno ogni dieci minuti. Da mezzanotte fino alle 7,00 vi servirà invece il bus della linea N; il tragitto è lo stesso ma le corse saranno meno frequenti (in ogni caso sono garantite!).
I vaporetti, poi, sono un’ottima alternativa alle passeggiate a piedi (che comunque, vi consiglio ogni tanto di fare): procuratevi una mappa dei vaporetti (waterbus) come questa qui sotto (vedete che ganzo? Venezia ha la forma di un pesce! 😀 ), studiatevela e vedrete che capirete in un attimo come funziona: in sostanza, è come una metropolitana all’aria aperta, con tanto di banchina d’attesa e display luminosi che vi informano sulle corse in arrivo ed in partenza… Anche qui le corse sono frequentissime ed assicurano i collegamenti con ogni punto di Venezia, isole comprese (quindi per raggiungere Murano e Burano, se avete l’abbonamento trasporti, non dovrete pagare ulteriormente).


(foto presa da qui)

Non vi consiglio invece i treni: sempre in ritardo, corse meno frequenti, vagoni molto sporchi (dove non lo sono?) e non viaggiano dopo le 23,00.
Giusto per darvi un’idea generale, vi lascio qui una cartina di Venezia non dettagliata (quella dettagliata vi merita acquistarla, e seria anche, se volete almeno sperare di capirci qualcosa tra le varie calli senza perdervi 32836 volte al giorno!), ma comunque divisa nei vari “sestrieri”, i quartieri insomma, più il riferimento di Mestre e di Piazzale Roma.

(foto presa da qui)

E ora, ditemi, dopo aver letto il mio papiro ed aver visto le nostre foto… Non vi viene voglia di partire? Io ripartirei anche subito…  :mrgreen:

10 settembre 2010

Calabria eat-and-go

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Rieccoci qua, con la seconda e ultima parte del mio reportage fotografico cibario/culinario della mia estate meridionale… Stavolta siamo in Calabria, dove ho passato la maggior parte dei giorni 🙂 E anche stavolta, bando alle ciance e spazio alle immagini… Pronti? Via!

A come… Abbondanza (Parmigiana di melanzane, Pipi e patate, Salsiccia alla brace)

Una cena in famiglia a Nocera Terinese (Catanzaro): in alto, pipi (peperoni) e patate; a sinistra, parmigiana di melanzane; a destra, salsiccia alla brace


C come… Cipolle di Tropea

Cipolle rosse a Tropea (Vibo Valentia)


F come… Finocchietto selvatico

Finocchietto selvatico calabrese prodotto a Cicala (Catanzaro)


G come…
Gazzosa al caffè

La gazzosa al caffè (la marca Brasilena è la più nota), bevanda tipica calabrese, ideale a merenda, per accompagnare una bella rosetta con la mortadella!


O come…
Origano

Origano calabrese, profumatissimo, prodotto a Lamezia Terme (Catanzaro)


P come…
Pannocchie, Pepe rosso dolce, Peperoncini essiccati, Pomodori secchi

Pannocchie grigliate a Caulonia (Reggio Calabria), durante la XII edizione del Tarantella Festival

Pepe rosso dolce prodotto a Lamezia Terme (Catanzaro). Il pepe rosso è una varietà particolare di peperoncino (i frutti sono rotondeggianti) utilizzato anche per aromatizzare i salumi

Peperoncini essiccati a Tropea (Vibo Valentia)

Pomodori secchi (favolosi) di produzione del padre di Maria Giovanna (Lamezia Terme, Catanzaro)


R come…
Ricotta stagionata (o salata, o secca)

Ricottina di pecora stagionata del caseificio Corapi (Lamezia Terme, Catanzaro), da utilizzare grattugiata sulla pasta (ma secondo me ottima anche da mangiare a tocchetti!)


S come…
Sardella, Scavigna, Soppressata

Sardella (o Neonata, o Rosamarina, o Caviale calabrese): il novellame più minuscolo del pesce azzurro, anche detto "pesce ghiaccio" (i bianchetti) unito a sale, olio e peperoncino piccante, tipico del crotonese

Scavigna rosso, dell'azienda agricola Odoardi, vino prodotto nei comuni di Nocera Terinese e Falerna (Catanzaro); il nome, in greco, designa la zona dove si scava il terreno per coltivare la vite

Soppressata calabrese (tutt'altro insaccato rispetto alla "soprassata" toscana): carne scelta di maiale, grasso e aromi, tra cui il pepe rosso


T come… Tartufo (quello dolce)

Tartufo di Pizzo, dessert tipico di Pizzo Calabro, Vibo Valentia (che nulla ha a che vedere con quello confezionato di una nota marca): gelato alla nocciola modellato a mano con cuore di cioccolato amaro fuso e spolverizzato con cacao in polvere


U come… Uva Fragola (marmellata)

Varietà di uva il cui sapore ricorda quello delle fragole di bosco; la razza non è tipicamente calabrese (nè tantomeno italiana), ma quella con cui il papà di Maria Giovanna ha preparato questa marmellata cresce spontaneamente sul terrazzo di casa Adamo a Nocera Terinese (Catanzaro)

Ci tengo a precisare che questi post (il presente più il precedente siciliano) non vogliono assolutamente essere elenchi completi ed esaurienti di prodotti e/o piatti tipici delle regioni che ho visitato; si tratta solo del mio personale, indubbiamente parziale, e probabilmente anche distorto, punto di vista… Chiunque scovasse imprecisioni, errori e castronerie nei miei, per così dire, appunti cibari di viaggio, è pregato di dirlo… Accetto di buon grado critiche, consigli, appunti e suggerimenti 🙂

6 settembre 2010

Sicilia eat-and-go

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Eccoci qua, come promesso, col reportage fotografico natural-mangereccio del mio viaggio al Sud. Avevo detto che avrei lasciato poco spazio alle parole e tanto, tanto spazio alle immagini e… Così sarà. E allora, partiamo 😀

A come… Acciughe, Aloe, Arancini

Acciughe al mercato di Catania

Alòe Vera nei giardini botanici delle Gole dell'Alcàntara (Catania)

Arancini al ragù per pranzo, Linguaglossa (Catania)


C come… Cannoli, Capperi, Cucunci

Cannoli siciliani a Taormina (Messina)

Capperi sotto sale al mercato di Catania

Cucunci (i frutti del cappero) al mercato di Catania


F come… Fichi d’India


G come… Granita di Gelsi

Come fanno le granite in Sicilia non le fa nessuno... Questa poi è divina! (nb: il gelso è una pianta che produce frutti simili alle more)


M come… Mafiosi al pistacchio

Roberto impasta i "mafiosi al pistacchio" nel suo laboratorio, a Taormina (Messina) (info più in basso)


O come… Olive

Le olive di Stramondo, mercato di Catania

Olive bianche di Paternò (Catania), mercato di Catania


P come…
Pasta di mandorle, Peperoncini freschi, Pomodori di Pachino

Panetti di pasta di mandorle, mercato di Catania

Peperoncini freschi, Acireale (Catania)

Pomodori Ciliegini di Pachino (Siracusa), mercato di Catania


S come…
Sbeggi (e Sicilia, of course)

Sbeggi, frutti della famiglia delle pesche (in realtà sono originari della Calabria, dove vengono chiamati "merendelle"), Acireale (Catania)


U come…
Uva passa (o Uvetta, o Uva sultanina)

Uva passa, mercato di Catania


Z come…
Zucchine (siciliane)

Zucchine siciliane, mercato di Catania

Per i curiosi, spendo due parole sui cannoli più buoni che io abbia mai mangiato (quelli in foto), preparati sul momento: si tratta di un laboratorio artigianalissimo nel centro di Taormina. Il titolare nonché pasticcere, Roberto (di origini toscanissime – e di questo ne vado fiera – ), è quello che vedete nella foto del tizio con le mani in pasta… A questo link troverete maggiori info 😉
Per il resto, lascio spazio soltanto alla vostra immaginazione… Pregustando già i sapori calabresi, vi lascio in compagnia di quelli siciliani… Mammamia come mi piace il Sud 😀
Ah: ringrazio Luca del Grande per le seguenti foto: Acciughe, Arancini, Cannoli, Cucunci, Granita di Gelsi, Mafiosi al pistacchio, Olive di Stramondo e Pomodori di Pachino. Le altre son mie invece 🙂
Infine rigrazio Uva, amica di forum (SCTS), che non volendo mi ha seguita tramite messaggi privati durante la stesura di questo mio articolo fotografico, riuscendo pazientemente a dirimere i miei dubbi per quel che concerne la pianta del cappero (cucunci, fiori, frutti, boccioli… 😀 ).

29 agosto 2010

Ad esempio a me piace il Sud: Sicilia e Calabria – Agosto 2010

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Ed eccoci qui. L’estate è quasi finita, le mie vacanze sono state belle lunghe, ammetto (e a dirla tutta non sono ancora finite :oops:), ma si sa… non sarebbero mai lunghe abbastanza. Insomma, non ho abbandonato il mio mare, la mia Val di Cornia, la mia San Vincenzo, i miei amici del “Circo Togni” (anche quest’anno abbiamo dato il meglio di noi!)… Ma la mia permanenza a “Sanvi” quest’anno ha fatto un po’ da cornice, aprendo e poi concludendo (e questo non è ancora accaduto!) la mia estate…
Il cuore delle mie vacanze è rappresentato da 10 splendidi giorni passati nel sud Italia, tra la Sicilia e la Calabria, da dove sono tornata proprio stamattina. Ho visto posti favolosi, in certi casi un po’ retrò, dal sapore antico e poetico; ho vissuto appieno i ritmi tremendamente coinvolgenti di quelle terre focose e carnali; ho colto i profumi magici ed inebrianti di frittelle e cornetti, di pesce fresco e cannoli, di frutta fresca e purpette… E’ incredibile quanto in ogni paesino, in ogni vicolo, in ogni angolo, in ogni casa, tutto si mischi a creare un’atmosfera magica di festa, di allegria e di abbondanza che non è facile raccontare a parole. Quindi sì, proviamo con la musica…

Ma non basta. No, Rino non basta a descrivere l’atmosfera favolosa in cui ho vissuto durante questi giorni; i colori, i sapori, i profumi… Lo so, certo, occorrerebbero tutti e cinque i sensi, e forse neanche quelli basterebbero. Però insomma, qui tanti mezzi a disposizione non ce ne sono, ed allora vediamo se riesco, con le foto, a rendere l’idea: i due post che seguiranno nei prossimi giorni (e ciò non avverrà prima del 6 settembre, perché per un’altra settimana, come ho detto, sarò a San Vincenzo senza connessione) avranno lo scopo di raccontare la mia vacanza attraverso le immagini soltanto, con le parole ridotte al minimo indispensabile. E però, visto che qui si parla, ultimamente ed ormai inesorabilmente, solo di cibo, il reportage fotografico sarà inevitabilmente monotematico… A buon intenditor poche parole 😉
Due parole sul non-cibo, però, voglio dirle: se ho vissuto appieno Calabria e Sicilia (più la Calabria che la Sicilia, dove sono rimasta solo per 3 giorni) è solo grazie a delle persone splendide: Miranda e Claudio, che ci hanno portati in giro, nonostante il tremendo raffreddore e la macchina in panne, per i dintorni di Catania, e Maria Giovanna ed Antonio, che ci hanno ospitati a Lamezia Terme, il centro nevralgico del nostro mondo, scarrozzandoci a destra e a manca a ritmi serratissimi per farci assaporare ogni singolo aspetto della loro vita calabrese 🙂
Insomma, stavolta mi sono sentita meno turista del solito, nonostante la macchina fotografica fosse ben salda al collo dall’alba fino… all’alba del giorno dopo 🙂 E credo proprio che grazie a queste mie foto cibar-culinarie chiunque potrà capire quanto sia stato facile, per me, riprendere buona parte dei chili persi nei mesi scorsi con somma fatica :/
Ma basta chiacchiere: mo’ mi faccio un’ultima settimana a Sanvi, poi dalla prossima settimana cercherò di farvi venire fame di nuovo 😉 Intanto, però, un paio di posti in cui vale veramente la pena passare ve li mostro… Sognate, sognate 🙂

Gole dell'Alcantara (ME) - Sicilia

San Nicola Arcella (CS) - Calabria

29 gennaio 2010

Viaggio a Barcellona – Cap. 5: RIENTRO ALLA BASE

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GIORNO 5 – Domenica 10 gennaio 2010: RIENTRO ALLA BASE
Oggi il sole splende alto, mannaggia… e noi dobbiamo andarcene 😦 Beh, cerchiamo di goderci al massimo questo scampolo di giornata che ci resta 🙂 Ci gustiamo la nostra ultima colazione all’Hostal Albi, facciamo le valige (che i gestori dell’ostello ci hanno gentilmente custodito per qualche ora), quindi prendiamo la metro fino a Collblanc, zona a Nord di Barcellona… Destinazione: Camp Nou. Sì, lo so, molti non saranno d’accordo sul fatto che tra le cose da vedere in pochi giorni in una città come Barcellona, io (noi, ma in questo caso chi ha voluto fortemente sono stata io e non Luca… la tifosa accanita del calcio sono io 😛 ) abbia scelto di visitare lo stadio di casa del Futbol Club Barcelona, ma che ci posso fare… Io amo il calcio, e non ho mai visto dal vivo uno stadio “serio” (non credo che quello di Empoli, quello di Firenze, quello di Siena e quello di Livorno possano essere annoverati tra gli stadi con la “S” maiuscola!)… E questo volevo vederlo fortissimamente… 🙂 (non certo perchè è proprio alla partita giocata in questo stadio che risale l’ultima sconfitta dell’Inter, eh!)
Lo stadio è stato costruito nel 1957 e poi ampliato nel 1982; oggi può contenere fino a 120.000 spettatori. Si entra e si segue un tour “guidato” (per poi comprendere nel giro di un secondo che per “guidato” si intendeva una passeggiata da farsi seguendo le transenne gialle…): gli spogliatoi, le sale relax, la sala conferenze, il casottino delle radiocronache, lo studio televisivo… Ok, vi risparmio le descrizioni che interessano solo a me 🙂 Poi si accapa all’aria aperta: il campo da calcio è fantastico, è immenso, i colori rosso-blu sono ovunque… Il tour prosegue fino ad arrivare al Museu del FC Barcelona, dove si medita su vecchi trofei e si osservano attoniti i mille schermi piatti che celebrano i gol più belli ed i matches più importanti (quasi ci si commuove…). E, fermata d’obbligo, il negozio, su due piani, che vende qualunque cosa, dall’abbigliamento agli accessori per la casa, del Barcellona (decisamente kitsch ma, dal momento che siete lì, beh… entrateci, che vi costa!).
Intanto l’ora di pranzo si avvicina… Non abbiamo più tempo ormai 😦 Riprendiamo la metro per l’ultima volta e ci fermiamo a mangiare qualcosa sulla Rambla, da Pita House (al numero 54), poi ci fiondiamo a riprendere le valige (addio, Hostal Albi 😦 ), quindi ci facciamo trovare puntuali all’appuntamento con il pullman che dalla Stazione Nord (Arc de Trionf) ci riporta all’aeroporto di Girona…
La nostra vacanza, adesso, è ufficialmente finita. Al metal detector ci lasciano senza scarpe, guarda un po’ qui come sono fiscali nei controlli. I miei calzini di Hello Kitty (non sono una patita della gattina giapponese eh?! E’ che tengono un gran caldo!) catturano l’attenzione di molti viaggiatori. E mentre osserviamo gli aerei decollare nell’attesa del nostro volo (puntualissimo), già ci vengono i rimorsi per quello che non siamo riusciti a vedere… Ma vabbè, prima o poi torneremo. Chissà. Intanto, ci imbarchiamo in silenzio, al calar del sole. A Pisa è buio, è umido, diluvia. Casa dolce casa… 😀

 

FC Barcelona Camp Nou, Avinguda d'Aristides Maillol 12, Barcellona.

27 gennaio 2010

Viaggio a Barcellona – Cap. 4: LE ULTIME COSE DA VEDERE

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GIORNO 4 – Sabato 9 gennaio 2010: LE ULTIME COSE DA VEDERE
Siamo a Barcellona da ben tre giorni e non abbiamo ancora visto il mare, se non dall’alto, il mio adorato mare… Bisogna rimediare! Eppure… c’è ancora qualcosa… Oh cavoli, non siamo ancora stati al Parc Güell!! Bene, il programma di oggi è il seguente: Parc Güell – mare – zona della Ribera (la parte ad est del Barrìo Gotico).
Ci incamminiamo prima del solito, sulla Rambla non c’è anima viva, tranne i mimi che si preparano ad iniziare la loro lunga giornata di lavoro. Prendiamo la metro a Liceu, scendiamo a Lesseps, ma Parc Güell è molto in alto e le nostre gambe oggi non ce la fanno… Taxi! La simpatica tassista ci fa fare il giro delle sette chiese, ma alla fine giungiamo a destinazione. Quale affascinante spettacolo davanti ai nostri occhi… “Luca, ma queste sono le casine di marzapane!!”. Le due case in questione, progettate per ospitare i custodi del parco e servire come reception per chi si recava in visita ai residenti (che però non si sono mai materializzati), costituiscono l’entrata di Parc Güell, parco che, appunto, era stato progettato per essere una città nel verde, che avrebbe dovuto ospitare circa 60 abitazioni per il ceto benestante. Ma dopo 14 anni di lavoro, causa mancanza di fondi, Güell fu costretto ad abbandonare il progetto e Gaudì a sospendere il suo lavoro. Oggi, Parc Güell è per i Barceloneti un parco bizzarro dove passeggiare nel verde godendo della visuale di panorami a dir poco splendidi. Ma procediamo con ordine: passate le due case ci si trova davanti ad una scalinata fiancheggiata da mura in ceramica (e da una maestosa salamandra, simbolo della città di Barcellona) che sembra condurre ad un salone da ballo. Invece, salite le scale, ci si trova di fronte ad un enorme porticato costituito da ben 86 colonne sormontate da una piattaforma, porticato che avrebbe dovuto essere la sede del mercato del quartiere residenziale. Salendo su per le stradine ai lati del porticato, si raggiunge appunto la piattaforma sovrastante, dalla quale si ha una splendida visuale di tutta la città. Ma quel che attrae la vista, qui, sono le panchine in ceramica lucida poste giro giro alla piazzetta, un vortice ondulato di colori che farebbe sbizzarrire anche il fotografo meno ispirato 😉 Proseguendo verso Nord, i sentieri si allargano attraverso il parco, tra gli alberi, e conducono al punto più alto di tutto il parco, il monumento al Calvario, un monumento con tre croci che furono distrutte durante la guerra civile e che oggi sono state ricostruite. Insomma, noi che oggi volevamo camminare di meno, ci siamo lasciati prendere e siamo voluti arrivare fino a lassù in cima!
La discesa è più facile, ma abbiamo già le gambe a pezzi, e il mare ci aspetta. Torniamo giù con un taxi, stavolta il viaggio è breve. A Lesseps prendiamo la metro fino ad Urquinaona, dove scendiamo per ammirare il favoloso Palau de la Musica Catalana, uno splendido teatro ma anche e soprattutto uno dei più bei capolavori di arte ed architettura modernista, dichiarato addirittura, nel 1997, patrimonio universale dall’UNESCO. Siamo già in zona Ribera, ma vogliamo mangiare sul lungomare, per cui decidiamo di scendere giù con la metro fino al Port Vell e di ripassare in questa zona al ritorno.
Il Monument a Colom segna la fine della Rambla e l’inizio della zona del lungomare. Proseguiamo sulla Ronda del Litoral, ammiriamo la Testa di Barcellona (in Plaça d’Antoni Lopez), una scultura, appunto, a forma di testa, contributo di Roy Lichtenstein (pittore astratto e massimo esponente del movimento americano della Pop Art) al paesaggio di Barcellona; la scultura ricorda moltissimo il disegno fumettistico, per il quale, non a caso, Lichtenstein divenne famoso. Dal lungomare sporge una lingua di terra che va verso il mare; qui ci sono l’Acquario, un multisala ed un centro commerciale, il Maremàgnum. Non ci interessano, proseguiamo per il Passeig Don Joan Borbó e scegliamo uno tra gli innumerevoli ristorantini di pesce in cui fermarsi a pranzo. Andiamo da Can Costa (Passeig Don Joan Borbó 70), la paella è discreta (ma quella di Dalì non la batte nessuno!) e le cozze al vapore pure; ci mangiamo, finalmente, una crema catalana (ma non ottima, purtroppo…), poi ci rimettiamo in cammino.
Dopo pochi minuti giungiamo a La Barceloneta (“La Piccola Barcellona”), il quartiere povero ma pieno di vita del lungomare abitato principalmente da marinai e pescatori. Allungarsi fin sulla spiaggia è d’obbligo, sedersi sulla sabbia, “toccare” l’acqua del mare… Luca fotografa i surfisti, io raccolgo conchiglie per la mia collezione. E’ primo pomeriggio, verrebbe quasi voglia di sdraiarsi, non fosse per il freddo e per il vento gelido che ci accompagna da ieri… Ma ci rimettiamo in cammino, ormai dobbiamo arrivare fino in fondo al lungomare, che pare interminabile. Proseguiamo per il Passeig Maritim de la Barceloneta, fotografiamo curiosi il Peix, scultura in bronzo che ricorda un pesce (come il nome stesso suggerisce) opera dell’architetto statunitense Frank Gehry, ed arriviamo al Port Olimpic, dietro al quale si erge Vila Olimpica, il villaggio costruito per gli atleti durante i Giochi Olimpici del 1992. Il porto, creato appunto per gli eventi di vela dei Giochi, insieme col villaggio, fa parte di un programma di rinnovamento urbanistico davvero ampio, tanto che risulta difficile immaginarsi come fosse questa parte di porto quando ancora le industrie occupavano l’intera zona.
Terminata la passeggiata sul lungomare torniamo verso Nord: pochi passi e siamo di nuovo nella zona della Ribera. Prima di imboccare Carrer de la Marina, ci imbattiamo in un’area verde caratterizzata da due sculture degne di nota, che la guida neanche segnalava: alla nostra sinistra il Parc de les Cascades, al cui centro si erge David i Goliat, di Antoni Llena, un’imponente scultura realizzata con tubi e lamiere di ferro, che sembra un aquilone sgangherato ispirato ad Halloween; alla nostra destra il Parc del Port Olimpic, nel quale si scorge Marc, una scultura espressionista che rappresenta una figura umana, in bronzo ma con toppe dipinte, realizzata da Robert Llimos per celebrare la diversità ed il multiculturalismo.
Saliamo ancora, fiancheggiamo i binari della stazione e cerchiamo di visitare il Mercat del Born (il secondo, per grandezza ed importanza, dopo quello della Boqueria), ma l’edificio in ferro battuto che lo ospita è in reastauració (tanto per cambiare!), quindi ci dirigiamo verso il Parc de la Ciutadella, il principale polmone verde del centro di Barcellona, attraversato dall’Estany, un rilassante laghetto in cui è possibile persino affittare una barca a remi (noi, poco romantici, non l’abbiamo fatto). Più a Nord, nel parco, si erge la Cascada, un’imponente arcata affiancata da scalinate e sormontata da statue dorate neobarocche creata da Josep Fontsère (ideatore del parco) a cui prese parte un giovanissimo Gaudì.
Intanto, il sole tramonta… Direi che è il caso di rincasare, stasera abbiamo un appuntamento importante (la partita 😀 ) e non possiamo tardare! Attraversiamo la Ribera percorrendo Carrer de Montcada, strada medievale vecchia più di 700 anni famosa soprattutto per la presenza del Museo di Picasso (che noi non abbiamo visitato, visto che pare non esserci granchè del periodo cubista del pittore 😦 ), saremmo già nel Barrio Gotico ma ci allunghiamo fino alla Boqueria per la nostra consueta merendina/aperitivo a base di frutta, quindi torniamo indietro fino all’ostello.
Il resto… beh, pura e semplice telecronaca: doccia, sigaretta, la corrente che salta, Luca che dorme, cena da Wok To Walk, in Carrer del Escudellers 47 (una catena di ristoranti economici che ti spadellano quel che vuoi nella wok: si sceglie il tipo di spaghetto, i condimenti -frutta, carne, pesce- e la salsina), caffè e partita al JP Bar, gol di Maccarone, pareggio di Milito, vantaggio dell’Inter su punizione di Sneijder, pareggio di Ekdal, vantaggio del Siena con Maccarone, nuovo pareggio dell’Inter con un’altra imparabile punizione di Sneijder e… dulcis in fundo, al 48’ s.t., il 4-3 dell’Inter con Samuel… Queste sì che son soddisfazioni 😀 Le interviste post-partita non si possono ascoltare (per la gioia di Luca!), il ragazzo del JP Bar ha già alzato la musica a tutto volume. Torniamo in camera e ci addormentiamo all’istante. Per la prima volta, dormiamo tutta la notte senza mai svegliarci. Forse stanotte hanno fatto meno caciara del solito. Ma no, è sabato sera… Forse siamo noi che ci siamo abituati ormai, che ci abbiamo fatto l’orecchio. Uffa però, proprio l’ultima notte.

Parc Güell, Carrer d'Olot 7, Barcellona.

Leggi l’ultimo capitolo!

25 gennaio 2010

Viaggio a Barcellona – Cap. 3: SU PER IL MONTE

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GIORNO 3 – Venerdì 8 gennaio 2010: SU PER IL MONTE
La giornata si prospetta migliore (meteo…ehm…mente parlando), la nebbiolina che investe l’aria di prima mattina ci accompagnerà per tutto il giorno, ma non piove e questo basta a farci uscire col sorriso sulle labbra. Il cielo bianco indica neve, in effetti è un freddo fuori dal comune, la mamma chiama preoccupata perché al TG, in Italia, hanno detto che “è nevicato alle porte di Barcellona”. Non so di quali porte parlino, ma qui non c’è traccia di neve! Le serrande di “O’Pineiro” sono ancora ermeticamente chiuse, dentro non si riesce a vedere quel che c’è… La mia curiosità aumenta, ma mi convinco che sia un negozietto di alimentari sul modello di quello turco alla sua destra, o di quello danese alla sua sinistra.
Partiamo di passo svelto diretti di nuovo verso la Rambla, c’è Palau Güell, uno dei primissimi capolavori di Gaudì, da vedere, in Carrer Nou de la Rambla. Già da fuori è un’opera splendida: archi a parabola, caminetti coloratissimi. Anche all’interno, lo spettacolo è unico: mattoni nudi alle pareti, piastrelle in ceramica sul soffitto, saloni enormi, lampadari in ferro battuto, pannelli in legno scolpito, scalinate in marmo grigio… Ok, la abbozzo qui 🙂 Anche perché, al solito, il tempo è poco, e oggi c’è da scalare il monte… Riprendiamo la metro a Liceu, scendiamo in Plaça d’Espanya: di fronte a noi, maestoso, si erge il Montjuïc (parola che, in ebraico, significa “Montagna degli Ebrei”, data l’esistenza, pare, di un cimitero ebraico), la cima più alta di Barcellona dopo la catena montuosa sulla quale si erge il Tibidabo. Nel 1929, il Montjuïc fu scelto per ospitare l’Esposizione Mondiale, e nel 1992 i Giochi Olimpici. Passiamo la famosa Font Màgica, che di notte pare sia particolarmente suggestiva… fatto sta che alle 11:00 di mattina è non solo non illuminata, ma pure spenta, non c’è alcun getto… Boh, magari la aprono al calar del sole. Iniziamo a salire interminabili rampe di scale, fiancheggiamo il MNAC (Museu Nacional d’Art del al Catalunya) e ci troviamo di fronte al complesso sportivo noto come Anella Olimpica (Estadi Olìmpic, Palau San Jordi, Piscines Bernat Picornell) e, maestosa e particolare come la conosciamo in foto, alla futurista Torre Calatrava (dal nome del suo progettista di Zurigo, Santiago Calatrava), simbolo inconfondibile di Montjuïc, che altro non è che la torre del trasmettitore della compagnia spagnola Telefónica. Tutto intorno, meravigliosi giardini botanici con piante che provengono da tutto il mondo, rifugi di pace per la gente del posto. Facciamo un paio di foto nel Jardí d’Aclimatació, che accoglie alberi e fiori provenienti dalla Cina, dall’Australia e dal Sudafrica, quindi proseguiamo.
E’ ancora presto per fermarsi a mangiare, quindi continuiamo il nostro cammino e scendiamo giù, alla destra del monte (camminando per moooolto tempo!!), dove si trova il Poble Espanyol,  il “Villaggio Spagnolo” eretto in soli 13 mesi per l’Esposizione Mondiale del 1929 allo scopo di mostrare la diversità architettonica e culturale della Spagna. In realtà, il villaggio avrebbe dovuto essere smantellato al termine della fiera, ma per fortuna la decisione fu revocata… E quindi abbiamo potuto ammirare tutti gli stili architettonici (le loro riproduzioni) delle diverse regioni della Spagna. Si entra dalle mura medioevali castigliane, si prosegue fra i palazzi signorili dell’Extremadura, quindi si fiancheggiano costruzioni della Navarra, si sale la riproduzione di una scalinata di Santiago de Compostela, si superano case della Galizia, si ammirano le tecniche arabe lungo gli edifici dell’Aragona, si percorrono i vicoli dell’Andalusia, si osservano esemplari della Murcia e delle Baleari fino a terminare il nostro tour in Plaça de la Font, dove ci si sente finalmente a casa con edifici che rappresentano le province catalane… Il tutto in un’atmosfera pacifica e rilassante, tipica dei piccoli borghi di ogni dove!
Dopo aver girato il villaggio in lungo ed in largo, la fame iniziava a farsi sentire… Ma essere in cima ad un monte non è esattamente come essere nel Barrìo Gotico, dove si ha l’imbarazzo della scelta… Morale della favola, onde evitare di dover riscendere a valle per pranzare, ci siamo fermati in uno dei ristoranti terribilmente turistici (di cui non ricordo neanche il nome) che ci sono tra i vicoli del Poble… è stato forse il pasto più triste del nostro viaggio: una sopa de pescado passabile ma dei calamari fritti (o forse meglio chiamarli “gommine?!) alquanto scadenti… Uff!
Dopo pranzo riattraversiamo tutto il Montjuïc per andare dalla parte opposta, diretti alla Fundaciò Joan Mirò, la galleria che accoglie le opere dell’artista di Barcellona più importante del Novecento. La collezione permanente è composta da dipinti, sculture ed altri lavori di Mirò, non sono un’amante dell’arte ma devo dire che il modernismo ha il suo gran fascino, colori e forme di ogni tipo popolano gli spazi bianchi e luminosi degli interni del museo… Entriamo, io con la macchina fotografica al collo. “No foto”, mi dice la tipa all’entrata. Ok. Ne faccio una di nascosto, Luca mi copre le spalle, poi un’altra e un’altra. “No foto”, mi dice il tipo che controlla la prima sala. Ok, scusi, non sapevo. Altra sala, altra foto. Una tipa alquanto scocciata mi si avvicina, “No foto!!”… OK, mi dispiace. Direi che può bastare. Metto via la macchina fotografica onde evitare di essere cacciata fuori a pedate nel fondoschiena, terminiamo il nostro giro ed usciamo.
Prossima tappa: il Castell de Montjuïc, già si intravede all’orizzonte, non è lontano in linea d’aria, ma è molto più in alto di dove siamo adesso, e poi è raggiungibile solo attraverso la funicolare. Ci mettiamo in coda, aspettiamo un vagoncino, saliamo insieme ad una coppia di russi/tedeschi/nonsobenecosa ed arriviamo al castello, roccaforte del Settecento costruito per proteggere Barcellona dagli attacchi via mare. Saliamo fino sul tetto per godere dello splendido panorama di Barcellona, ma l’aria è ancora nebbiosa e non si vede granchè, eccezion fatta per la Torre Agbar (ma quella si vede sempre!), anche detta “il suppostone”, una sottospecie di cetriolo luminoso dai riflessi blu e rossi (che detto così non pare, ma ha comunque il suo fascino) sede dell’azienda cittadina per la fornitura d’acqua, opera di Jean Nouvel completata nel 2005.
E’ pomeriggio inoltrato, e noi siamo ancora parecchio in alto. Riprendiamo la funicolare per scendere giù, stavolta nel vagone siamo soli, ci godiamo il panorama nel silenzio del riposo. Quindi ripartiamo a piedi, scendiamo piano piano quelle mille rampe di scale che stamani abbiamo salito di buona lena, passiamo accanto alla Font Magica che, è ufficiale, oggi non funziona (niente giochi di luce sull’acqua 😦 ) quindi girovaghiamo nei dintorni di Plaça d’Espanya prima di riprendere la metropolitana. Un’arena (in Plaça de Braus les Arenas) desta la nostra attenzione, ci avviciniamo e scopriamo che è abbandonata e che non ospita più corride ormai da decenni (abbandonata, sì, ma non dimenticata: nel 1966 ci hanno suonato i Beatles!). Dietro all’arena, dice la cartina, c’è il Parc de Joan Mirò… Il parco c’è in effetti, ma è triste. Leggiamo sulla guida: “Il parco, dall’aspetto poco invitante, dietro all’arena, è conosciuto alla gente del posto come Parc de l’Escorxador (Parco del Macello): quando l’arena funzionava ancora, le carcasse dei tori finivano in questo piccolo mattatoio. Il macello è stato chiuso da tempo, e se non fosse stato per il genio di Mirò questo posto non verrebbe nemmeno menzionato”. Beh, sull’aspetto poco invitante siamo senz’altro d’accordo… Ma dove sta il genio di Mirò? Ci guardiamo intorno: eccola là, imponente, bizzarra, coloratissima, la scultura Dona i Ocell (Donna e Uccello), per molti un chiaro simbolo fallico, che doveva essere circondata da sculture altrettanto bizzarre (cosa che però non è avvenuta per via della morte di Mirò)… Ci flashiamo bene bene, facciamo un sacco di foto, poi davvero è il caso di tornare in ostello per riposarsi un po’…
Riprendiamo la metro, scendiamo a Liceu, facciamo merenda alla Boqueria, quindi attraversiamo la Rambla quanto basta per essere, in linea d’aria, in Carrer d’Avinyo, tagliamo per Carrer de Ferran e… cosa vedono i miei occhi! Un negozio Custo (altro grande e famosissimo marchio di abbigliamento di Barcellona)… Segno del destino che capiti proprio adesso, così se compro qualcosa poi non rischio di portarmi appresso sacchi per un giorno intero, tanto poi si va subito in ostello… Entriamo!! Mentre io mi provo maglie su maglie, Luca si appioppa sul pouff nel camerino, ogni tanto apre un occhio e farfuglia qualcosa del tipo “Sì… Ti sta bene, sì…”; decido che non è il caso di torturarlo oltre, scelgo una sola cosa e poi, finalmente… in ostello!
Il pisolino nel camerino di Custo non è certo sufficiente a riacquistare un po’ di forze, e Luca, come tocca il letto, si addormenta di nuovo. Mi faccio la doccia, mi vesto, salta la corrente per colpa della mitica stufa (ma ormai gli stivali sono quasi asciutti :P), fumo una sigaretta sul terrazzo e… “O’Pineiro” è aperto!! Ed è… Un ristorante!! Luca si lava e si veste, scendiamo giù a vedere se vale la pena mangiare esattamente di fronte alla nostra camera o se invece conviene anche stavolta avventurarsi per i vicoli del Barrio. Buttiamo un occhio dentro il ristorante (in Carrer d’Avinyo 39), un tipo buffo ci viene incontro. Parla in catalano, ma si capisce benissimo… Per farvela breve: ci infinocchia (ma diciamo pure che ci è piaciuto il “come” l’ha fatto e ci siamo lasciati consapevolmente infinocchiare 😉 ) ed entriamo. La sua paella, dice, è una delle poche espresse e non surgelate… In effetti, così pare, tutta bella attaccata al fondo della padella come deve essere, piena di pesce fresco e con i gusci (cosa da non sottovalutare), senza peperone come da me richiesto… e 25 minuti di cottura. Mentre aspettiamo la nostra paella il locale si riempie: una coppia, poi un’altra, poi un’altra ancora: tutti italiani. Si chiacchiera, si ride. Il proprietario si esalta. Tutti dicono di essere lì perché su Zingarate hanno letto recensioni che sostengono valga davvero la pena mangiare da O’Pineiro (“da Salvador Dalì”, dice il sito per l’esattezza, data l’estrema somiglianza!). Noi restiamo esterrefatti… Mitico! Non avevamo letto un bel nulla, noi, siamo qui per caso… Sono tre giorni che punto ‘sto posto… Che serata!! Arriva la paella, è favolosa. E poi arrivano le cozze marinate, ottime. E poi dei polpetti alla griglia, fenomenali… E giù vino bianco catalano! Nel frattempo, Dalì ci mostra con soddisfazione gli articoli stampati dal sito di Zingarate che parlano di lui, ridiamo come matti. E’ uno spasso. Un ragazzo di Como mi sente parlare dell’Inter e si prenota anche lui per vedere la partita al JP bar, domani sera. Serata miticissima… 😀
Andiamo a letto felici, con tanto vino in corpo. Stanotte si dorme. Poi un bimbo piange, al posto dei francesi è arrivato qualcun altro, ma per fortuna la crisi dura poco. Cerchiamo di dormire, ma le urla in strada sono forti, più del solito. Luca si alza, sbircia dalla finestra. Con un guizzo afferra la macchina fotografica: “Arrestano uno!!”… Io non ho la forza di alzarmi, ma guardo le foto che Luca ha scattato: uno spacciatore con mani e piedi ammanettati, sdraiato per terra e legato come un salame, circondato dai cattivissimi poliziotti catalani (i Mossos d’ Esquadra), un capannello di gente tutto intorno. Bene, han fatto pulizia. Stanotte si dorme davvero.

Dona i Ocell, Parc Joan Mirò, Carrer de Tarragona, Barcellona.

Leggi il prossimo capitolo!

22 gennaio 2010

Viaggio a Barcellona – Cap. 2: ALLA SCOPERTA

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Viste le polemiche del mio compagno di viaggio (polemiche giuste, peraltro, mon amour), prima di proseguire oltre ci tengo a precisare che quel “noi” che ho usato ripetutamente nel primo capitolo non è un plurale maiestatis (non ho certe manie di grandezza!), ma stava a significare che semplicemente non ero sola, ma col mio fidanzato Luca 😀 (C’est bien? … Anzi… Vale? ;))

GIORNO 2 – Giovedì 7 gennaio 2010
La sveglia suona, dobbiamo fare colazione. Ce l’abbiamo inclusa, l’abbiamo pagata. Ma… come si fa? Dove si va? Si va alla reception, si sceglie tra latte, caffè e caffellatte (“Coffee? Milk? Coffemilk?” uhm… questa tiritera l’ho già sentita a Santorini…!), si aspetta che siano caldi, dopodiché si afferra il vassoio carico di tazze, zuccheriera, muffins, fette biscottate, marmellate, burro e formaggini e si va a degustarsi la meritata colazione alla mini-scrivania della propria cameretta. Però, la colazione del Regent Hotel di Londra era decisamente peggiore, eppure pagavamo fior di sterline! (Tranquilli, il racconto della colazione non ve lo farò tutte le cavolo di mattine, era solo per rendere l’idea della prima volta :P). Fumo una sigaretta sul terrazzo, mi guardo intorno. Davanti a me, “O’Pineiro”: chiuso. Boh, chissà cos’è. Carichi di energia, ci si lava, ci si veste e si parte. Barcellona, la mattina alle 9:00, è come Firenze verso le 6:00: solo io, lui e le vecchiette con la spesa (che avrebbero potuto fare solo al mercato, visto che qualunque forma di negozio/locale non apre prima delle 10:00 minimo), immersi in quell’aria nebbiosa dell’aurora, che poi si dissolve, e l’aria si fa più tersa… La nebbia invece quel giorno è rimasta, si è trasformata in pioggia e ci ha accompagnati per tutto il giorno, tanto che a metà giornata ho dovuto comprarmi i calzini nuovi e mettermi due sacchetti tra loro e gli stivali (che erano diventati due laghetti – menomale la superstufa dell’ostello li ha asciugati in un paio di giorni!)… Ma questa è un’altra storia…
Dunque, armati di ombrellini ci addentriamo per le vie del nostro quartiere, il Barrìo Gotico, cuore religioso e civico della città, soffermandoci in Carrer del Call (centro dell’ex ghetto ebraico), ammirando gli, apparentemente celati, innumerevoli resti della civiltà romana: quelli del Temple Romà d’Augusti (tempio eretto in onore di Cesare Augusto) in Carrer del Paradìs, quelli degli scavi della città romana in Plaça del Rei, quelli delle mura a sud della città in Pati Llimona, quelli delle torri difensive in Plaça dels Traginers e quelli del cimitero romano abbandonato in Plaça de la Vila de Madrid. Nel corso della nostra passeggiata alla ricerca di un po’ di storia, siamo entrati anche nell’imponente Cattedrale (la Seu) de la Santa Creu i Santa Eulàlia, in stile gotico. Proprio in Plaça de la Vila de Madrid, invece, ci siamo fermati a pranzo (è lì che mi sono cambiata i calzini e messa i sacchetti negli stivali!) da Govinda (al numero civico 4), ristornate indù-vegetariano consigliatoci, anche questo, dalla Claudia e Nicola… E dopo aver degustato piatti masala e tanduri (ma con le verdure al posto del classico pollo!) siamo ripartiti, decisi a passare il pomeriggio in altre zone di Barcellona.
A piedi siamo tornati sulla Rambla (dopo una breve -ma proficua- fermata da Desigual, celebre negozio d’abbigliamento barcellonese) per visitare il famigerato Mercat de la Boqueria, nome che gli deriva dalla parola boc (capra), perché qui si vendeva la carne di capra già a partire dal Duecento. L’emozione sensoriale (visiva, olfattiva, tattile) che si prova nel passeggiare tra i banchi di pesce e di molluschi freschi, di affettati e di formaggi, di frutta e di verdura, di spezie e dolciumi è davvero indescrivibile, è un turbinìo di profumi, mischiati a voci ed a colori accesi, che ti sconvolge dentro (oppure questo accade solo a chi è goloso come me?!)… Avremmo voluto assaggiare ogni cosa, ma ci siamo limitati a bere frullati di frutta fresca (ogni pomeriggio, sul tardi, prima di rientrare in albergo, la Boqueria era diventata ormai la nostra tappa per la merenda 😀 ) e ad assaggiare i due migliori prosciutti di tutta la Spagna: il Pata Negra (jamon iberico), dal sapore dolciastro, indescrivibilmente godurioso (ed infatti, estremamente pregiato) ed il Jamon Serrano, più simile ai nostri prosciutti toscani. Ti tagliano due fette spesse, te li fanno a tocchetti come fossero pancetta e te li mettono in quei cartoni del cinese take-away… Fighissimo!
La giornata è ancora lunga, diluvia ininterrottamente ma non demordiamo. Ieri, complice la stanchezza, non siamo riusciti ad andare più a Nord di Casa Comalat, ma vedere dal vivo Casa Vicenç (Carrer de les Carolines 18-24) era uno dei miei desideri barcellonesi ed il mio amore mi ha accontentata… 😛 Così prendiamo la metro a Liceu, scendiamo a Fontana e facciamo due foto a Casa Vicenç. Visto, era così semplice! Bene, di nuovo in marcia, oggi tocca vedere anche la Sagrada Familia… Nel frattempo la pioggia aumenta, si alza il vento, gli ombrelli si rompono e… beh, se qualcuno avesse visto, il 7 gennaio 2010 verso le 17:00, due toscani imprecare contro il mondo nei pressi della Sagrada Familia beh… Quelli eravamo noi. Facciamo due foto sbilenche e bagnate da fuori, entriamo. 12,00 euro per vedere i muratori all’opera (opera inconclusa di Antoni Gaudì, si stima sia pronta – seguendo i suoi progetti – verso il 2041) mi sembrano tantini, considerando anche che le torri sono chiuse causa pioggia… vabbè, beneficenza, alla fine i lavori vanno avanti grazie ai nostri soldi… Però è bella eh, non c’è che dire. Sarà che mi giravano le scatole a più non posso, sarà che i sacchetti negli stivali iniziavano a far condensa ed anche i calzini asciutti si stavano impregnando d’acqua, sarà che mi portavo appresso un sacchetto di Desigual da tutto il giorno col timore di dimenticarmelo da qualche parte… Ma non me la sono goduta per nulla 😦 Però è strepitosa, un tempio modernista che si ispira alle migliori cattedrali gotiche non è cosa da poco, non lo si vede tutti i giorni insomma…
Alle 18:00 siamo arrivati al limite della sopportazione… Doccia e piedi asciutti, i miei unici desideri. Però nel tornare, via, siamo in zona, come non fermarsi al Bosc de Les Fades? In fin dei conti è vicinissimo al nostro ostello, Passatge de la Banca 5, a metà strada tra noi e la Rambla, quasi sul Passeig de Colom (la via perpendicolare alla Rambla, che costeggia il mare)… entriamo, beviamo una birra/aperitivo. Lo scenario è senz’altro suggestivo (sì è vero, è un po’ chiappa per turisti, però alla fine bere una birra lì o berla da un’altra parte è la stessa cosa, no?), tavoli nascosti tra gli alberi, lucine soffuse… Carino, sìsì. Doccia doccia doccia, piedi asciutti, piedi caldi. Arriviamo in ostello, “Sara, camera 10”, salta la corrente per colpa della potente stufetta (e dei caricabatterie), sigaretta sul terrazzo (“O’Pineiro” sempre chiuso – il mistero si infittisce – mentre Luca se la dorme), poi verso le 20:30 siamo pronti per uscire a cena. E stasera dove si va?
Restiamo sul vegetariano: ieri a pranzo avevamo notato, vicino a Dionisos, un ristorante caruccio, Vegetalia (Carrer del Escudellers 54), così decidiamo di andare lì, dato che è vicino al nostro ostello. Posto carino, cifra onesta, buon cibo… Un antipastone ricco di salsine ed involtini di verdure e… ehm.. non ricordo cos’altro, ma ricordo che siamo stati bene. E, con lo stomaco pieno, ce ne andiamo a nanna. Il tempo di addormentarci e fuori, in strada, inizia il solito fracasso. Ci svegliamo un paio di volte ma ci riaddormentiamo subito. Il francese nella stanza accanto non c’è più per fortuna, e questo ci basta.

Mercat de la Boqueria, La Rambla 85-89, Barcellona.

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21 gennaio 2010

Viaggio a Barcellona – Cap. 1: L’ARRIVO

Posted in viaggi tagged , , , , , a 5:30 PM di pixel3v

Avevo pensato di raccontare questo nostro Viaggio a Barcellona in un unico post. Poi, mentre mi addentravo nei meandri delle descrizioni, col file Word aperto, mi sono resa conto che non sarebbe stato giusto, nei confronti dei miei cinque/sei (forse?!) lettori, propinare loro un post che avrebbe richiesto ore ed ore di lettura… Probabilmente avrei perso anche quei pochi (lettori) 🙂 Quindi ho pensato di dividere il racconto in capitoli, uno per giorno, in modo anche da lasciarli (sempre loro, i cinque lettori) con il fiato sospeso… 😛
Dunque, il nostro viaggio a Barcellona è stato breve (da mercoledì 6 gennaio 2010 a domenica 10 gennaio 2010), ma piuttosto intenso, abbiamo camminato così tanto da non sentire più i piedi e mangiato quintalate di pesce, abbiamo visto splendidi esemplari di architettura moderna e cupi vicoli dal richiamo inquietante… Ma andiamo con ordine 🙂

GIORNO 1 – Mercoledì 6 gennaio 2010: L’ARRIVO
Siamo atterrati a Girona per Befana, di prima mattina… Appena fuori dall’aeroporto abbiamo fatto il biglietto andata e ritorno per il pullman che porta da Girona a Barcellona e viceversa, e in un’oretta di viaggio eravamo già a destinazione. Gli autobus scendono alla Stazione Nord, nei pressi dell’Arc de Trionf, con un taxi siamo arrivati all’ostello (maledetto tassista, ci ha lasciati il Plaça de Sant Jaume dicendoci che Carrer d’Avinyo, la via del nostro ostello, non era transitabile in auto, invece era transitabilissima… bah!) ed abbiamo posato le valige… L’Hostal Albi è, appunto, in Carrer d’Avinyo (parallela alla Rambla e vicina al porto), al numero 58; c’è voluto un po’ per trovarlo, nessuna grande insegna… poi abbiamo capito: c’era da suonare il campanello di uno degli interni di un palazzo, tra mille cognomi c’era pure il nostro ostello… Una signora simpatica ci ha accolti, camera mignon ma con tutto il necessario (nonostante fossimo in un ostello, avevamo prenotato una doppia con bagno privato), riscaldata con una potente stufa che ogni sera, puntualmente, faceva saltare la corrente in tutto l’ostello e, ovviamente (ma che cosa mi lamento a fare…) senza il bidet. Ma va bene… Insomma, dicevo, lasciamo le valige ed iniziamo la nostra scoperta di Barcellona. Ci eravamo fatti un itinerario di tutto rispetto (sono un’organizzatrice robotica, dice Luca), ma come da copione dopo cinque minuti di cammino l’itinerario programmato era già andato a farsi benedire.
Cominciamo a salire verso Nord, ci fermiamo da Dionisos (Carrer del Escudellers 42, ma praticamente in Plaça Reial) a mangiare una pita veloce e poi arriviamo sulla deludentissima Rambla (ma forse sono io che mi aspettavo chissà cosa, eh…). Bene, questa è la Rambla? Ok, le macchine fotografiche possiamo pure rimetterle in borsa! Ah no, aspetta! Ci sono un paio di belle case moderniste anche qui, Casa Bruno Quadros (ex sede degli ombrellai, ma in effetti dagli ombrelli che la decorano qualcosa si poteva intuire) e l’Antica Casa Figueres. Bene, fotografate. Continuiamo ad andare verso Nord, passiamo Plaça Catalunya e proseguiamo nel Passeig de Gracia. Ora sì che si ragiona!! E qui inizia il bello: nell’ordine, passeggiando verso Nord, si trovano (degne di fermata e di foto): Casas Rocamora (dei fratelli Joaquim e di Bonaventura Bassegoda Amigó), Casa Lleó Morera (di Domènech I Montaner), Casa Amatler (di Puig I Cadafalch), Casa Battlò (la migliore opera di Antoni Gaudì, secondo me), Casa Milà (la Pedrera, così chiamata per la sua somiglianza con delle cave di pietra, altra esemplare opera di Gaudì che però abbiamo potuto ammirare solo esternamente in quanto era in reastauració fino al 14 gennaio) e, se si volta a destra, dopo poco, Casa Thomas (di Domènech I Montaner), Casa Comalat (progettata da Salvador Valeri Pupurull, realizzata da Gaudì) e Casa de Les Punxes (di Puig I Cadafalch). In tutto questo, dentro Casa Battlò ci siamo anche concessi il lusso di entrare: dire che merita è un eufemismo!! Siamo rimasti senza fiato: non c’è una linea dritta in tutto l’edificio, e tra vetro, pietra e legno la casa acquista uno splendore unico, dati i dettagli estremamente curati, le forme ondulate, le curve morbide e l’estrema ispirazione alla natura. Una meraviglia!
Sfiancati da cotanta bellezza, ci siamo fatti un aperitivo da Tapa Tapa (Passeig de Gracia 44), locale consigliatoci dalla Claudia e Nicola ( 😛 ) che non ha deluso le nostre aspettative: centomila tapas diverse, tutte apparentemente ottime (altro che le tristi, scarne e scontate tapas dell’Andalusia interna!)… E da lì sono uscita con una nuova ricetta da provare (che sarà il prossimo post, dopo i capitoli del viaggio). Il ritorno è lungo (tutto il Passeig de Gracia + tutta la Rambla), ma il nostro passo è più rapido rispetto all’andata. Il sole è già tramontato, ma le luci di Natale, enormi e coloratissime, illuminano le vie principali. Arriviamo all’ostello, suoniamo il campanello, impariamo che da lì in poi è necessario proferire la frasina magica (“Sara, camera 10!”… ed io mi sento tanto quel tipo che chiedeva “C’è Gigi? E la Cremeria?”), facciamo una doccia rapida e cerchiamo qualcosa per cena. Prima di scendere mi guardo intorno dal terrazzo, ma non noto nulla di interessante, tranne l’insegna di fronte a noi, “O’Pineiro”, ma è chiuso. Chissà che sarà. Vabbè, scendiamo.
La nostra via si riempie di spacciatori poco raccomandabili al calar del sole, non che siano violenti, ma sinceramente passeggiare io, il mio fidanzato e sei o sette brutti ceffi non è che sia la mia massima aspirazione… Per fortuna che Carrer d’Avinyo pullula di tavernette poco turistiche. Ci infiliamo nella Pulperia Celta (Carrer de la Mercè 16, praticamente all’incrocio con Carrer d’Avinyo scendendo a Sud, in direzione del mare), siamo gli unici turisti. Ci sediamo al bancone, ordiniamo la specialità della casa, il Pulpo Gallego (polpo bollito, a pezzetti, con una cosa tipo paprika sopra) e scopriamo che una vagonata di cannolicchi costano solo 6,00 euro (ovvio che abbiamo preso anche quelli!!)… beh, come prima cena niente male. Prendiamo un caffè al JP Bar, gestito da ragazzi italiani (di Firenze per la precisione), con cui prendo appuntamento per il sabato sera (lo so, sono debolezze da circolino, ma questi c’avevano Sky e facevano vedere il campionato italiano, come avrei potuto perdermi Inter–Siena, visto e considerato che avrebbero giocato alle 20:45?! 😀 )… quindi andiamo a letto, cotti come fegatelli.
Qualche recensione sul nostro ostello che avevamo letto on line prima di partire accennava qualcosa riguardo alle mura dannatamente fini delle camere. Dicevano qualcosa come “Si sente esattamente quel che dicono nella stanza accanto…” Esagerati, avevamo pensato noi. Beh, il maledetto francese della stanza accanto prima ci ha fatti addormentare, e poi verso le 2:00 di mattina ha iniziato a sproloquiare con la fidanzata. Per minuti, e minuti. Interminabili minuti. Poi mi sono alzata, ho cazzottato il muro di cartapesta che divideva noi da loro. Allora ha iniziato a bisbigliare. Uff. vabbè, meglio di niente… E quando ha smesso anche di bisbigliare hanno iniziato ad urlare gli spaccini sotto la terrazza, e il locale di fronte ha alzato la musica. Vabbè, Barcellona è così. E la prima notte si è dormito a spizzichi e bocconi.

Casa Battlò, Passeig de Gràcia 43, Barcellona.

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